Con un’importante sentenza depositata il 10 gennaio (Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza n. 275/17) i Giudici del Palazzaccio sono tornati su un tema sempre attuale: il riconoscimento dell’assegno divorzile a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Il caso affrontato dagli Ermellini ha visto l’ex marito ricorrere dinanzi la Corte Suprema affinché da un lato fosse ritenuta l’ex moglie obbligata alla corresponsione dell’assegno, esattamente in antitesi con quanto deciso dal Giudice dell’appello, dall’altro fosse preso in considerazione, nella determinazione dell’ammontare del versamento periodico, il contributo dato alla conduzione familiare alla luce dell’art. 5 della legge sul divorzio.
La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione della Corte d’Appello nonché l’orientamento del Giudice di prime cure, ha ribadito come il presupposto del riconoscimento dell’assegno di divorzio è che “il richiedente non abbia redditi adeguati e non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive”. Seppur precedenti pronunce (es. la sentenza n. 6164/15) ammettono “l’esclusione dell’’ssegno in casi eccezionali di divorzio brevissimo (pochi giorni o pochi mesi di convivenza)”, la durata del matrimonio rileva unicamente in merito alla quantificazione dell’ammontare dovuto, non al riconoscimento del diritto de quo. Questo il motivo che ha indotto i Giudicanti all’accoglimento del ricorso. I Giudici di ultima istanza hanno dunque colto l’occasione per sottolineare come l’inadeguatezza dei redditi di cui discorre l’art. 5 summenzionato è rimessa a diversi criteri di valutazione quali il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e il livello di autosufficienza economica dell’avente diritto.
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